sabato 24 marzo 2012

Running liberatorio, e lounge del venerdì


Corri. Corri. Corri, e corri ancora. Metro dopo metro, respiro dopo respiro, battito dopo battito, con l'adrenalina che scorre nelle vene, e la musica dei The Verve, che dopo 15 anni continuano a far sognare.

Trasportato dalle note di "Lucky Man" mi sento veramente un uomo fortunato. Fortunato perché sento di volermi veramente bene, di sentirmi vicino a me stesso. Corro, la voce elettronica mi dice che sto andando a circa 8 km/h. La rabbia da sfogare è tanta, e ogni metro percorso cura, purifica, cicatrizza, consolida. Ogni metro un obiettivo. Lo raggiungo, lo supero e penso già al successivo. E mi sento sempre più padrone della mia psiche. Recupero il controllo che forse negli ultimi tempi avevo perduto. Certo, una corsa non basta a diluire le tensioni di una settimana al lavoro passata nella solita gabbia, solo, staticamente davanti a uno schermo quadrato, tra carte e conti.


Ma una corsa è più che sufficiente a farti sentire ancora vivo.
A ricordarti che puoi ancora lottare contro altre cose che ti si muovono dentro. A sputare in faccia a una stupida storia di tre mesi nata nella poesia, e sfumata nell'idiozia, in comportamenti infantili e parole sospese nel vento che sanno di ipocrisia. Una corsa di tre quarti d'ora, col vento leggero che ti sferza dolcemente il viso, è ancora in grado di farti dimenticare quella ragazza per cui hai perduto il senno, a cui hai dato, dato, dato, senza ricevere in cambio nulla, se non emozioni rimaste li, a metà, senza un perché. Che ha chiesto la tua spalla quando aveva bisogno di piangere, che in modo egoistico ha preso così in scioltezza tutto ciò che poteva prendere, il tuo aiuto in un momento difficile, la tua presenza fisica, quando era lontano, in un nido nuovo, un habitat diverso in cui doversi adattare. Che ha preso il tuo corpo, il tuo affetto, la tua passione, restituendoti per pronta cassa solo belle parole, illusioni poi sfumate, in una nuvola di ricordi tra le luci psichedeliche di notti vicentine ormai lontane. Che ti illude ancora oggi che possa esistere un rapporto di amicizia, non ricordando, forse che amicizia è ben altro che farsi gli auguri quando capita, o ricordarsi che qualcuno esiste solo quando ti infastidiscono certe cose, o quando dopo una giornata di frustrazione, costui ti chiede come stai, come te la passi.

Notizie ricevute così a bruciapelo, "domani torno", mascherando con frasi di circostanza il fatto che l'incuranza nei miei confronti le ha fatto dimenticare di avvisare un po' prima. Cose che lasciano purtroppo l'amaro in bocca, e portano a farsi domande sul valore delle cose, dei gesti. Sul valore dell'ora passata sugli scalini della stazione di Venezia a scrivere lettere che non verranno mai spedite, dato che dal destinatario probabilmente non verrebbero considerate. Sul valore del minuto in cui un pensiero vola lontano, verso l'ovest europeo..

Ne vale veramente la pena? Evidentemente no.

Eppure come chiaro e limpido traspare dalle righe soprastanti, una corsa non fa dimenticare. Una corsa però chiarifica. Aiuta a riflettere e prendere coscienza del valore di sé, non per gli altri, ma per sé stessi.

Arrivo a casa, e la doccia tiepida lava via queste ultime scaglie di pelle squamosa. Un'altra muta lasciata alle spalle. Un pasto sostanzioso, e mi preparo davanti allo specchio, camicia, giacca, jeans chiari, scarpe sportive, e mi sento pronto ad abbracciare la notte. Quella notte "un po' mamma e un po' porca" da condividere con un amico, un VERO amico.


Ed è così che la serata trascorre, tranquilla, tra un montenegro e un vodka redbull, a chiacchierare, interrotti solo da due padovane carine che in modo malizioso vengono a chiedere una sigaretta, e lanciano occhiate inequivocabili. Un paio di minuti, giusto il tempo per stare al gioco, e per far loro capire che per stasera dovranno cercare altri cavalieri. Questo mancava. La ciliegia sulla torta, l'aria di cambiamento, la sensazione che tutto può ancora essere messo in discussione, quella che ti fa sentire ancora in gara (cit. Amico) che la corsa deve ancora finire, e finchè c'è pappa per il V8 sotto al cofano, nel dubbio meglio accelerare, e fare le curve al limite, convinti della necessità assoluta che a tenere le mani sul volante, per guidare la nostra vita siamo ancora noi, e nessun altro ci possa influenzare o muovere dalla nostra direzione.

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