venerdì 6 luglio 2018

Ex-movere. Noi, e la Genesi delle emozioni

Ieri ho avuto una conferma, l'ennesima, di quanto sia importante esplicitare le proprie emozioni.

Attenzione, ho detto esplicitare, non condividere. Si tratta di una sfumatura non banale, perché non è detto che condividere con un'altra persona le proprie emozioni più profonde sia sempre costruttivo. Ci sono cose che dovresti tenere per te. Ci sono aspetti del sé autentico che abbiamo dentro che dovrebbero rimanere "segreti", e non parlo di aspetti negativi del nostro carattere che vogliamo nascondere per fare bella figura con gli altri.

Non si tratta del rapporto con il giudizio delle persone che ci circondano. Ricordando quanto detto nel post di ieri circa la nostra incapacità di vedere la realtà per quello che è, a causa del fatto che la realtà stessa viene "filtrata" attraverso la lente della nostra interiorità, è chiaro come un'emozione da noi condivisa con un altro verrà vista, sentita, percepita attraverso il filtro, la "mappa del mondo" dell'altra persona. Dunque, a meno che i filtri non siano gli stessi per entrambe le persone, (in realtà credo che non ci siano due mappe del mondo identiche, ma piuttosto che possano essere più o meno sovrapponibili l'una all'altra), la nostra emozione, che viene condivisa con l'altro, potrebbe non essere compresa appieno, o magari non essere compresa affatto.

Non è questo che conta in realtà. Come dicevo, a mio avviso esplicitare un'emozione e condividerla sono due cose completamente diverse. Quando tra due persone ci si capisce perché si hanno mappe del mondo del tutto simili, seppur non identiche, la condivisione anche silenziosa del sé più profondo è quasi una naturale conseguenza dell'esplicitazione delle emozioni.

La parte fondamentale però è quella che viene prima. L'esplicitazione, appunto. Vale a dire quel processo mediante il quale un'emozione riguardo qualcosa o qualcuno, o una situazione, o un comportamento nostro, o altrui, inizia a generare in noi dei cambiamenti fisiologici, degli stati d'animo. A volte questi cambiamenti sono evidenti, a volte passano sottobanco, ma ci sono. Allora se è facile riconoscere immediatamente sensazioni quando si manifestano palesemente, è più difficile riconoscerle quando i sintomi passano inosservati.

Talvolta accade che in certe situazioni senza volerlo nascondiamo un nostro stato d'animo perché non diamo importanza a quello che ci sta accadendo in quel momento. "Ce la facciamo passare", perché massì, tanto è una cosa da nulla. In quel momento stiamo nascondendo un'emozione, non la stiamo esplicitando.

Il fatto è che quelle emozioni che non esplicitiamo in qualche modo, rimangono latenti, ma continuano a lavorare. Scavano, e logorano lo spirito, avvelenandolo, come un lombrico che si fa strada nel terreno a piccoli morsi. Accorgersi della presenza di un'emozione, notarla, osservarla, osservare la nostra reazione, osservare noi stessi, farci delle domande su come ci sentiamo in quel momento, sul perché proviamo una certa sensazione, positiva o negativa che sia, osservare la situazione dall'esterno, ci aiuta a rendere quell'emozione viva e tangibile, riconoscibile, e a imparare di più di noi stessi. ci aiuta ad entrare in contatto con la nostra dimensione spirituale, con Dio (sia ben inteso, non necessariamente il Dio cristiano, ma l'essenza più vera e pura di sé stessi, quella che nel silenzio parla a gran voce).

Ma è necessario uno sforzo ulteriore. Osservare non è sufficiente. Finché la osservi, rimane comunque qualcosa di intangibile, e molto facilmente effimero. Per rendere completa la genesi di quell'emozione serve il grande potere della creazione, uno sforzo creativo che porti quell'entità astratta, quell'idea nel mondo materiale. Un grido, una risata, uno scatto furioso, un gesto istintivo, tutti mezzi per lo più incontrollabili di portare le emozioni dal mondo delle idee al mondo delle cose.

L'etimologia stessa del termine EMOZIONE, deriva dal latino emovère, (ex =fuori + movere= muovere, portare), quindi portare fuori, all'esterno di noi. Renderla concreta facendo qualcosa, mettere il Pensiero, e in questo caso le Emozioni in Azione.

Ma... non sempre l'esplicitazione istintiva è funzionale, anzi a volte può generare conseguenze deleterie nel nostro rapporto con gli altri, se si tratta di emozioni negative. Questo accade quando per troppo tempo l'emozione viene nascosta, prima di tutto a noi stessi, nel tentativo di non sentirne più i sintomi, di cui magari ci vergogniamo, o che abbiamo paura (altra emozione magari a sua volta nascosta) possano ledere il nostro rapporto con gli altri.

Qual'è allora la soluzione? A mio avviso ci sono delle cose che possiamo fare per evitare che questi effetti negativi si verifichino, e che scatenino un effetto domino che poi non possiamo più controllare. Il mezzo migliore per esplicitare le emozioni dipende da noi. Non importa in realtà cosa facciamo per trasformare un'emozione in qualcosa che vive e cammina nel mondo. Alcuni lo fanno dipingendo, alcuni lo fanno cantando, altri compongono canzoni, altri ancora picchiano un sacco da boxe, o sollevano pesi, fanno sport.. io scrivo. E suono la batteria.

A volte mi stupisco di quanto può essere rigenerante esplicitare le emozioni, anche semplicemente mettendole nero su bianco. Scrivere, come anche suonare, o ascoltare musica e lasciarla fluire attraverso di me, ha un potere curativo quasi mistico.

E da quando ho smesso di fare queste due cose, ho perso il contatto con le mie emozioni, e quindi il contatto con il mio Io autentico.

Questo in cosa si è tradotto? Quando, qualche giorno fa mi sono trovato a rileggere ciò che scrivevo prima di perdere il contatto con me stesso, tutte le emozioni si sono condensate in un pianto di gratitudine e di disperazione, in uno sfogo di tutte le mie peggiori paure e di tutte le mie più luminose gioie. Un fiume in piena che si è riversato sul mio viso, tutto in una volta.

Cosa sarebbe accaduto se avessi continuato a celare tutto quello che sono? Non lo so. Nulla di buono probabilmente. Spesso mi sono trovato a fare pensieri legati all'annichilimento di quell'entità spirituale che alberga nel tempio e nell'esoscheletro che è il mio corpo. Cosa succederebbe se la materia e l'antimateria si incontrassero? Se arrivasse il vuoto?

In realtà il concept di questo post doveva riguardare il linguaggio che usiamo per esprimere le emozioni, e doveva essere la naturale continuazione di quello di ieri. Non ho detto nulla di quello che avevo in mente ieri, tanto che sono costretto a cambiare il titolo,  ma sono contento di questa imprevedibilità che guida i miei pensieri in questo momento. A volte amo questa sensazione di vagare senza meta, lasciandomi portare dal vento attraverso le note del silenzio, e comporre un mosaico di idee attraverso mattoncini presi qua e là, come viene.

In fin dei conti è come puntare il navigatore... c'è sempre un'occasione, lungo la strada, per ricalcolare il percorso, e seguire sentieri inaspettati. Potrebbe essere l'occasione per conoscere qualcosa di più di noi stessi.

giovedì 5 luglio 2018

Riflessioni intorno al cambiamento e all'autentico sé

Cercavo l'ispirazione per buttare giù qualche pensiero, come ho deciso di fare, come mi sono PROMESSO di fare d'ora in avanti. Dopo l'Epifania che ho vissuto lunedì nel mio "Ritorno al Futuro", nell'incontro con una parte di me, che per questi cinque anni avevo seppellito, ho capito che riaprire le porte del mio cuore al mondo, rompere quelle barriere che avevo alzato con il mondo intero sarebbe stata l'unica via che mi avrebbe salvato dall'oblio.

Da molto tempo, infatti non riuscivo più a stare con le persone. La presenza di altri non mi appagava, non riuscivo a godere degli attimi trascorsi con qualcun altro, se non con due, tre persone con cui ho un legame emotivo così stretto da non poter fingere un sorriso.

Ho appena terminato una telefonata, con l'angelo che mi accompagna da quando ho scritto le primissime righe di questa mia storia in divenire. E questa telefonata mi ha dato l'ispirazione per riflettere su alcune cose in particolare. 

1. Il cambiamento
2. L'importanza del linguaggio e dell'espressione del sé nella parola, indipendentemente dal mezzo di comunicazione.

Oggi voglio riflettere in particolare sul cambiamento, che è stato un po' anche quella cosa che ha dato il via a questo viaggio tra le parole.

In questi ultimi anni mi sono avvicinato molto alla filosofia buddista, nella quale uno dei concetti chiave è la cosiddetta "impermanenza". Anche un giardino, per quanto al nostro occhio disattento possa sembrare sempre lo stesso, evolve, cambia in ogni secondo, gradualmente. Così sono le persone. A volte non abbiamo la percezione della direzione che stiamo prendendo, perché i cambiamenti, le rivoluzioni, si costruiscono a piccoli passi. Una stella nasce da tanti minuscoli frammenti di polvere cosmica. 

E questo vale per le rivoluzioni che ci portano verso la luce, ed anche per quelle che ci conducono nel buio più profondo. Non ci rendiamo conto che quello che facciamo o non facciamo OGNI GIORNO, i gesti, i comportamenti che adottiamo, le parole che usiamo e quelle che non pronunciamo, tutti questi piccoli frammenti di polvere che non vediamo, generano abitudini. 

Riporto una citazione letta per caso, di cui non ho certezza relativamente alla fonte, attribuita a Horace Mann, educatore e politico statunitense, ma che mi piace indipendentemente dalla sua origine. "Le abitudini sono come una fune. Ne intrecciamo un trefolo ogni giorno e ben presto non riusciamo più a spezzarla". Il problema è che non sempre ti rendi conto di cosa intrecci, e verso cosa questa fune ti sta tirando.

Quando si dice di una persona "non sei più lo stesso", non sei più come prima, il motivo, sempre secondo la filosofia buddista, è che il nostro occhio vede attraverso il filtro della nostra anima, delle nostre aspettative, aspirazioni, per questo la realtà secondo il buddismo non è mai oggettiva. ci formiamo delle aspettative sull'altro, abbiamo delle speranze che una persona resti sempre come la conosciamo, ma non sempre questo si verifica. 

Come nel mio caso la vita ti può portare, delusione dopo delusione, a non aver fiducia degli altri, ad aver paura del giudizio, a non voler condividere o esprimere più nulla di te. a chiuderti nel tuo mondo o in una stanza di 30 mq che chiami "ufficio", ma diventa un rifugio dalle tue paure, che poi paradossalmente ritrovi anche li. Solo che in quella stanza poi non hai nessuno che ti salva quando vorresti scappare e andartene. Sei solo. 

Personalmente mi sono sempre sentito un po' come il Dr. Shephard nella serie LOST. Uno straniero in terra straniera, colui che "cammina in mezzo a noi ma non è uno di noi". Ho sempre accettato la mia diversità, e a tratti ne sono stato felice, e tuttora ne sono felice. Non sono una persona che ama le liturgie sociali del nostro tempo, i regali di natale, come gli auguri, in sé e per sé non mi fanno né caldo ne freddo. Festeggio il mio compleanno per gli altri, non per me, perchè non vedo il senso di festeggiare un cambio di età che è misurato solo dalle convenzioni e suddivisioni temporali create dall'uomo, come il calendario. E mi sta bene così. 

Da quando però ho iniziato a perdere fiducia nel mondo e in me stesso, questa "anti-conformità" si è trasformata in alienazione, ed il mio ufficio, il mio lavoro, il mio smartphone, sono diventati la mia gabbia. 

La mia fortuna è stata LEI. la musa che ha fin dal principio soffiato ossigeno sulla mia fiamma reazionaria, e rivoluzionaria, lei ha tenuto viva in me quella fiammella che non faceva più luce. 

Il cambiamento non è giusto o sbagliato. E' normale. A volte è necessario alla sopravvivenza e si chiama adattamento. Modificare delle abitudini per evolvere è utile. Prendere abitudini e comportamenti che ti chiudono al mondo non può far altro che condurti in quella direzione e portarti all'autodistruzione.

Ma cos'è il cambiamento? Chi siamo noi? Siamo semplicemente la somma di abitudini e comportamenti o c'è una radice profonda di noi che ci accompagna sempre? Ad oggi posso dire di aver capito una cosa. Credo che in noi ci sia un'essenza profonda che è immutabile e multiforme. Credo che l'uomo come i serpenti cambi pelle, ma che quella pelle sia solo uno strato di quello che in un dato momento della tua vita hai messo in risalto per sopravvivere nel mondo. E nel momento in cui senti il bisogno di evolvere lasci quella pelle attaccata al primo ramo che incontri, e in quel momento passato debba rimanere relegata. Magari un giorno, nei tuoi ricordi, ripasserai vicino a quel ramo, e vedrai degli stracci di pelle. non vergognarti di quello che vedi, e non essere nemmeno felice. oggi hai la pelle che hai, ma il tuo io profondo sei sempre tu.

Io il mio io l'ho riscoperto tra le lacrime e le parole di questo blog da tempo dimenticato. Il mio IO autentico è con me e non mi abbandona. Ed è tempo che una "nuova-vecchia" pelle di emozioni, pensieri profondi, stupore e meraviglia del mondo e desiderio di rinnovamento ritorni a coprire il mio multiforme spirito.

E' tempo di lasciare la vecchia pelle sul ramo più vicino.

martedì 3 luglio 2018

A volte ritorn(an)o... Viaggi nel tempo e altre storie (che verranno)

Scrivo questo post, semplicemente per scrivere un post. Per fare il primo passo, o, come direbbe Raffaele Tovazzi, per mettere il Pensiero in Azione, facendo il primo passo concreto.

Un pensiero breve, in un ritaglio di due minuti, perché non ho tempo di lasciar fluire le emozioni in questo momento, ma un carico di tristezza e gioia, perché mi sono ritrovato. Ho ritrovato Christian tra le righe di post vecchi di 5 anni. 

E questo piccolo pensiero è un tributo a QUEL Christian. Quello fragile, infantile, sensibile, ma che non ha paura di mostrare la sua debolezza. Quello che si stupisce del mondo che lo circonda, che abbraccia la vita nel bene e nel male, e che esplora se stesso. 

- "Ciao Christian"

- "Ciao"

- "Ti ho aspettato qui un sacco di tempo, sperando che tornassimo a giocare insieme"

- "Ma tu come puoi essere qui? io credevo che fossi ancora con me"

- "No Christian. Stavamo sempre assieme, eravamo inseparabili, ma poi tu mi hai dimenticato qui in questo armadio. Ho provato a chiamarti, ma tu non mi sentivi più"

- "Ma tu non sei invecchiato, come è possibile?"

- "Sei tornato indietro nel tempo. Io lo sapevo che saresti tornato, ma a volte ho avuto paura che sarei rimasto qui per sempre"

- "Allora i viaggi nel tempo esistono. Questa mattina ne ho fatto uno. Sono andato indietro di 5 anni e ho riconosciuto un amico, un compagno, che avevo chiuso in un armadio. Potrai mai perdonarmi per quello che ho fatto?"

- "A tutti può capitare di perdersi nella vita. Ma tu sei tornato, e adesso possiamo giocare ancora insieme, vero?"

- "Si Christian. Giocheremo insieme di nuovo. Per sempre. E scriveremo storie di nuove avventure."

- "Ti voglio tanto bene Christian"

- "Anche io Christian."

Così ci siamo presi per mano, e ho riportato me stesso nel mio presente... il futuro adesso è in mano NOSTRA.