giovedì 5 luglio 2018

Riflessioni intorno al cambiamento e all'autentico sé

Cercavo l'ispirazione per buttare giù qualche pensiero, come ho deciso di fare, come mi sono PROMESSO di fare d'ora in avanti. Dopo l'Epifania che ho vissuto lunedì nel mio "Ritorno al Futuro", nell'incontro con una parte di me, che per questi cinque anni avevo seppellito, ho capito che riaprire le porte del mio cuore al mondo, rompere quelle barriere che avevo alzato con il mondo intero sarebbe stata l'unica via che mi avrebbe salvato dall'oblio.

Da molto tempo, infatti non riuscivo più a stare con le persone. La presenza di altri non mi appagava, non riuscivo a godere degli attimi trascorsi con qualcun altro, se non con due, tre persone con cui ho un legame emotivo così stretto da non poter fingere un sorriso.

Ho appena terminato una telefonata, con l'angelo che mi accompagna da quando ho scritto le primissime righe di questa mia storia in divenire. E questa telefonata mi ha dato l'ispirazione per riflettere su alcune cose in particolare. 

1. Il cambiamento
2. L'importanza del linguaggio e dell'espressione del sé nella parola, indipendentemente dal mezzo di comunicazione.

Oggi voglio riflettere in particolare sul cambiamento, che è stato un po' anche quella cosa che ha dato il via a questo viaggio tra le parole.

In questi ultimi anni mi sono avvicinato molto alla filosofia buddista, nella quale uno dei concetti chiave è la cosiddetta "impermanenza". Anche un giardino, per quanto al nostro occhio disattento possa sembrare sempre lo stesso, evolve, cambia in ogni secondo, gradualmente. Così sono le persone. A volte non abbiamo la percezione della direzione che stiamo prendendo, perché i cambiamenti, le rivoluzioni, si costruiscono a piccoli passi. Una stella nasce da tanti minuscoli frammenti di polvere cosmica. 

E questo vale per le rivoluzioni che ci portano verso la luce, ed anche per quelle che ci conducono nel buio più profondo. Non ci rendiamo conto che quello che facciamo o non facciamo OGNI GIORNO, i gesti, i comportamenti che adottiamo, le parole che usiamo e quelle che non pronunciamo, tutti questi piccoli frammenti di polvere che non vediamo, generano abitudini. 

Riporto una citazione letta per caso, di cui non ho certezza relativamente alla fonte, attribuita a Horace Mann, educatore e politico statunitense, ma che mi piace indipendentemente dalla sua origine. "Le abitudini sono come una fune. Ne intrecciamo un trefolo ogni giorno e ben presto non riusciamo più a spezzarla". Il problema è che non sempre ti rendi conto di cosa intrecci, e verso cosa questa fune ti sta tirando.

Quando si dice di una persona "non sei più lo stesso", non sei più come prima, il motivo, sempre secondo la filosofia buddista, è che il nostro occhio vede attraverso il filtro della nostra anima, delle nostre aspettative, aspirazioni, per questo la realtà secondo il buddismo non è mai oggettiva. ci formiamo delle aspettative sull'altro, abbiamo delle speranze che una persona resti sempre come la conosciamo, ma non sempre questo si verifica. 

Come nel mio caso la vita ti può portare, delusione dopo delusione, a non aver fiducia degli altri, ad aver paura del giudizio, a non voler condividere o esprimere più nulla di te. a chiuderti nel tuo mondo o in una stanza di 30 mq che chiami "ufficio", ma diventa un rifugio dalle tue paure, che poi paradossalmente ritrovi anche li. Solo che in quella stanza poi non hai nessuno che ti salva quando vorresti scappare e andartene. Sei solo. 

Personalmente mi sono sempre sentito un po' come il Dr. Shephard nella serie LOST. Uno straniero in terra straniera, colui che "cammina in mezzo a noi ma non è uno di noi". Ho sempre accettato la mia diversità, e a tratti ne sono stato felice, e tuttora ne sono felice. Non sono una persona che ama le liturgie sociali del nostro tempo, i regali di natale, come gli auguri, in sé e per sé non mi fanno né caldo ne freddo. Festeggio il mio compleanno per gli altri, non per me, perchè non vedo il senso di festeggiare un cambio di età che è misurato solo dalle convenzioni e suddivisioni temporali create dall'uomo, come il calendario. E mi sta bene così. 

Da quando però ho iniziato a perdere fiducia nel mondo e in me stesso, questa "anti-conformità" si è trasformata in alienazione, ed il mio ufficio, il mio lavoro, il mio smartphone, sono diventati la mia gabbia. 

La mia fortuna è stata LEI. la musa che ha fin dal principio soffiato ossigeno sulla mia fiamma reazionaria, e rivoluzionaria, lei ha tenuto viva in me quella fiammella che non faceva più luce. 

Il cambiamento non è giusto o sbagliato. E' normale. A volte è necessario alla sopravvivenza e si chiama adattamento. Modificare delle abitudini per evolvere è utile. Prendere abitudini e comportamenti che ti chiudono al mondo non può far altro che condurti in quella direzione e portarti all'autodistruzione.

Ma cos'è il cambiamento? Chi siamo noi? Siamo semplicemente la somma di abitudini e comportamenti o c'è una radice profonda di noi che ci accompagna sempre? Ad oggi posso dire di aver capito una cosa. Credo che in noi ci sia un'essenza profonda che è immutabile e multiforme. Credo che l'uomo come i serpenti cambi pelle, ma che quella pelle sia solo uno strato di quello che in un dato momento della tua vita hai messo in risalto per sopravvivere nel mondo. E nel momento in cui senti il bisogno di evolvere lasci quella pelle attaccata al primo ramo che incontri, e in quel momento passato debba rimanere relegata. Magari un giorno, nei tuoi ricordi, ripasserai vicino a quel ramo, e vedrai degli stracci di pelle. non vergognarti di quello che vedi, e non essere nemmeno felice. oggi hai la pelle che hai, ma il tuo io profondo sei sempre tu.

Io il mio io l'ho riscoperto tra le lacrime e le parole di questo blog da tempo dimenticato. Il mio IO autentico è con me e non mi abbandona. Ed è tempo che una "nuova-vecchia" pelle di emozioni, pensieri profondi, stupore e meraviglia del mondo e desiderio di rinnovamento ritorni a coprire il mio multiforme spirito.

E' tempo di lasciare la vecchia pelle sul ramo più vicino.

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